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Si muovono energie sociali in città, bentornata politica!

Lunedì sera. Ho da poco finito di partecipare all’assemblea pubblica, naturalmente in rigorosa modalità remota, della rete di “Un’altra città” e mentre chiudo il computer ormai divenuto per tutti la nuova finestra sul mondo mi sovviene una canzone suonata recentemente dai Negramaro: Meraviglioso. In particolare mi soffermo su un passaggio in cui il cantante, riproponendo il noto brano scritto da Domenico Modugno, cita le seguenti parole: ...ma guarda intorno a te/che doni ti hanno fatto/ti hanno inventato il mare.....

Sì, proprio intorno a me ora ho la sensazione che forse una nuova città si risveglia . E’ da occasioni come queste che forse prende forza una nuova energia con la quale diventa possibile iniziare ad immaginare un futuro, quasi giocando ma con serietà e convinzione.

In questa rete finalmente il Covid non tiene banco. Pur presente come eventualità vincolante per il futuro, non ci si sottrae alla profondità di considerarlo come un tragico effetto anche di scelte politiche sociali e sanitarie a dir poco catastrofiche.

E’ bello sentire tante persone appassionate di Trieste, un’altra Trieste. Una città che vorrebbe essere altro, che vorrebbe riconsiderare il modo in cui si sposta, in cui consuma, in cui si ripensa nei luoghi, in cui si immagina meno vecchia ed impastata, con o senza mascherina.

Vedo con entusiasmo tutta questa energia sociale che inizia a manifestarsi come fosse una costellazione che piano piano prende forma. Ci sono altri cantieri in questo periodo non meno suggestivi, a cui merita a mio parere aderire, che potranno finalmente offrire una prospettiva reale e solida ai triestini se sapranno interagire tra loro per costruire un comune futuro della nostra città.

Pur riconoscendo matrici culturali non certo così nuove, sento il desiderio di salutarle con molta gioia e curiosità per la novità di alcuni protagonisti e la freschezza delle idee che sono capaci di interpretare. Offrono infatti un dialogo sereno con il territorio, con le associazioni e con la persone agendo in modo inclusivo ed infondendo una ritrovata voglia di fare. Hanno in sé la ricchezza di guardare la città come una comunità fatta anzitutto da risorse non solo economiche, occasioni, spazi, bisogni, speranze ed opportunità. Tutto ciò traspare dal copioso elenco delle 100 cose possibili rappresentate nel “programma” ma anche nel susseguirsi di autorevoli interventi, senz’altro di interesse generale ma tutt’altro che generici.

E’ qui però, in mezzo a questa positività, che desidero soffermarmi. C’è in effetti un elemento che mi pare di straordinaria importanza sottolineare alla luce dell’esperienza aclista di questi anni. Se è vero infatti che tutti questi percorsi offrono sprazi di visione per una nuova Trieste e si accomunano per una generosa insofferenza nei confronti dello status quo spesso sterile ed immobile, è altrettanto doveroso notare come questi stessi ambiti suggeriscono la necessità di perseguire con attenzione la dimensione del COME. Senza un pensiero vero e coraggioso sul metodo ogni idea infatti rischia di infrangersi in una sommatoria di vincoli della Corte dei Conti o dai limiti di separatezza tra livelli tecnici e politici. Senza un profondo COME le dichiarazioni rimangono efficaci come i “tweet del giorno prima” e il pericolo che queste energie si esauriscano nell’agone elettorale più o meno vincente appare dunque piuttosto elevato, alimentando spettri di scenari già vissuti.

Ecco allora che a seguire le declaratorie dei COSA, sarà bene porre con maggior forza l’accento sulla necessità di avere un’amministrazione che veda la funzione pubblica non solo come prerogativa della pubblica amministrazione ma come ambito di azione in cui assieme alla società civile vi sia una concertata presa in carico del bene comune. Il governo della città non potrà limitarsi ad amministrare l’apparato pubblico del Comune ma si dovrà occupare di muovere tutta la città in un coro sincrono. In questo starà la vera innovazione politica: non solo evidenziare i punti di un programma ma consolidare l’adozione di nuovi processi di condivisione e costruzione di un medesimo orizzonte, coinvolgendo i tanti pezzi di quel mosaico chiamato città, dando vera trasversalità alle azioni e alle decisioni.

Se ciò non fosse avremo senz’altro perso una ulteriore occasione per rendere Trieste un grande laboratorio sociale, per offrire una prospettiva di sviluppo che non guardi solo al salotto buono degli hotels e dei vecchi fasti della "Trieste austro-ungarica" ma che possa ambire a riproporre in chiave moderna l’opportunità di ritornare ad essere un grande centro innovativo per la cultura e le culture, capace di attrarre menti creative, di creare opportunità per i nostri figli e nipoti, di invertire il trend demografico.

Me lo auguro fortemente così come caldamente auguro buon anno, ringraziandoli, a coloro che brillantemente stanno tentando di risvegliare i numerosi animi ormai sopiti dal “no se pol” di una Trieste che forse ora vuole voltare pagina.

Bentornata politica.

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